La
storia della prospettiva è tuttora lacunosa e ricca di chiaroscuri; basti
pensare che è ancora aperto il dibattito
se le sue origini si debbano ricondurre al periodo ellenistico oppure al
Rinascimento. Tuttavia, proprio per le sue implicazioni con le altre scienze e
con l’arte, ma soprattutto con la società civile (spesso è stata considerata
come puro sapere tecnico, talvolta è stata praticamente oscurata, per poi
essere riscoperta e assunta al ruolo di scienza nobile), appare particolarmente interessante come esempio per
tentare di capire gli sviluppi che ha avuto la scienza nella civiltà
occidentale.
Più
precisamente, intendendo con il termine ‘prospettiva’ la cosiddetta prospettiva lineare (ovvero la
rappresentazione su un piano ottenuta come intersezione dello stesso piano con
il cono che ha il vertice nell’occhio e la base nell’oggetto da raffigurare), resta aperto il
problema se in età ellenistico-romana conoscessero tale tecnica. Recenti
ritrovamenti archeologici di grandi affreschi, confrontati con testi
scientifici dell’età ellenistica, suggeriscono l’ipotesi che la teoria,
specialmente le sue radici matematiche, e la pratica alla base del disegno
prospettico, fossero note anche in epoca classica, per poi svanire nei secoli successivi.
Quello che appare invece evidente è che in tutto il Medioevo queste conoscenze
non sono presenti: le si vede nascere (o rinascere) insieme con tutte le regole
matematiche relative nel ‘400.
Filippo Brunelleschi le esemplifica nelle tavolette (perdute)
rappresentative del Battistero di Firenze, Leon Battista Alberti con il
trattato De pictura e
successivamente Piero della Francesca con il De prospectiva pingendi le codificano in modo sistematico. Nella pratica
pittorica suggerita da questi maestri, le rette parallele che si allontanano
dall’osservatore si vedono convergere in un punto (detto punto all’infinito),
come se in quel ‘dove’ dovessero di fatto incontrarsi. L’insieme di tutti
questi ‘dove’ viene rappresentato sulla tela del pittore dalla cosiddetta retta
all’infinito.
Partendo da queste costruzioni geometriche il matematico francese Gerard
Desargues, contemporaneo di Cartesio,
costruisce e sviluppa la
cosiddetta geometria proiettiva, descritta al pari della geometria euclidea in
maniera puramente sintetica, dove l’infinito trova una sua ben precisa
collocazione. Le potenzialità di
questa nuova teoria appaiono immediatamente a Desargues, che ne mostra
immediatamente le applicazioni teoriche (vedi il trattato sulle coniche) e
quelle pratiche (vedi il trattato sul taglio delle pietre). Tuttavia, come
spesso accade nella scienza, le sue idee vengono combattute dai contemporanei,
rimanendo ‘sommerse’ nei due secoli successivi, per poi tornare prepotentemente
alla ribalta nell’800. La geometria proiettiva diventa il punto di partenza di
una nuova teoria che si sviluppa nel mondo ad opera della grande scuola
italiana (rappresentata in particolare da Federigo Enriques, Guido Castelnuovo
e Francesco Severi): la geometria
algebrica. Ironia della sorte, la
geometria proiettiva (e con essa la cosiddetta geometria descrittiva) non sono
mai riuscite ad entrare in quanto ‘matematica’ nella scuola primaria, in
particolare in quella italiana. Sin dall’Unità d’Italia queste geometrie sono state considerate argomenti formativi necessari
solamente per una preparazione tecnica, in secondo piano rispetto alla
geometria di Euclide, cui si riservava l’esclusività del ruolo formativo di
‘ginnastica del pensiero’.
Ai giorni d’oggi si registra da un lato
la progressiva riduzione, che fa ormai temere una sostanziale scomparsa,
dell’insegnamento della geometria nella scuola primaria e secondaria,
accompagnata da un deciso taglio degli argomenti di geometria proiettiva nei
corsi universitari. Dall’altro lato emerge l’esigenza contestuale di concetti
fondamentali di geometria, in particolare di prospettiva, nello sviluppo delle
nuove tecnologie. Moderni software dedicati all’analisi e allo sviluppo di
immagini, al disegno tecnico, ai modernissimi videogiochi, sono basati
sull’evoluzione delle idee esposte da Desargues nel ‘600 e trattate dai grandi
geometri italiani nei primi anni del ‘900: e quelle idee e quei metodi
rischiano di non venire più insegnati. Una riflessione su questi argomenti
appare pertanto di stringente attualità.
Il convegno Prospettiva e geometria
dello spazio tenutosi a Livorno il
30 e 31 Ottobre 2003 per iniziativa del Centro Studi Enriques, del Comune di
Livorno, della Provincia di Livorno e dell’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici, con il patrocinio del Conseil International de Philosophie et
Sciences Humaines dell’Unesco, ed in collaborazione con la Fondazione Cassa di
Risparmi di Livorno, ha inteso affrontare questi temi sotto molteplici aspetti
attraverso i contributi di esperti provenienti da vari settori: matematica
(Giorgio Bolondi, Politecnico di Milano; Laura Catastini, SIS, Roma; Franco
Ghione, Università di Roma 2; Placido Longo, Università di Pisa), storia della
matematica (Le Goff, Università di Caen), architettura (Filippo Camerota,
Istituto e Museo di Storia della Scienza, Firenze), storia del pensiero
filosofico (Luciana De Bernart, Scuola Normale Superiore, Pisa; Antonio
Somaini, Milano), pittura (Andrea De Benedetti, Torino). Gli interventi del
convegno sono raccolti in questo volume,
nell’auspicio di riuscire a trasmettere nel lettore il piacevole clima
che si è respirato in quei giorni su un argomento che si pone al punto di
incontro fra rami diversi della cultura e del sapere.
Marco
Franciosi